TRE PAROLE A TE, DUE A ME

C’è in effetti una strana ripartizione di parole tra i diversi stati d’animo che una persona è in grado di avere.

Avete presente la felicità? Si, proprio lei, l’irraggiungibile, cercata da tutti, che però si trova raramente ed è sempre così fugace. Bene, cosa vi viene in mente per esprimerla?

Sono feliceeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee! è tutto quello che viene in mente a me. Non c’è altro. Posso ripeterlo all’infinito, felice felice felice felice feliceeeeeeeeeeeee!, ma è difficile che io pensi ad altre declinazioni. La gioia, o meglio la feligioia, come piace chiamarla a me (un altro dei neologismi su cui vorrei mettere il copyright), si esprime poco e bene. E’piuttosto semplice, visibile, lampante, chiara.

Non ha bisogno di molte parole, ecco. Ne tiene da parte due o tre e bon, finita lì.

Ora, invece, pensate alla tristezza. Sono sicura che tutti, prima o poi, abbiamo dovuto farci i conti, con questa subdola inetta che si diverte a darci fastidio a periodi alterni. Più leggera, più pesante, passeggera o stabile, generale e diffusa o acuta e pungente perchè legata ad un motivo specifico.

Bene. Pensate a cosa avete da dire quando – se – avete il privilegio di sfogarvi con qualcuno e buttar fuori quello che provate.

Si. Infatti.

Le parole sono pressapoco infinite. Ci sono i colori, quelli scuri, ci sono le nebbie ed il fumo, ci sono strappi, ferite, crepe e lacerazioni varie, ci sono i segni e i lividi, c’è tutta la gamma di umani sentimenti che ha a che vedere con qualsiasi cosa possa infrangersi, spezzarsi, svanire, illudere, perdersi. Ci sono le lacrime e tutte le loro consistenze: pesanti, bollenti, copiose, inarrestabili, infinite, e a volte anche finite, quando pensiamo di averle piante tutte.

Potremmo scriverne e parlarne per ore, anche quando ci sembra di non avere la forza di farlo.

Troveremo sempre un’altra parola, precisa, perfetta, che esprima un dolore, o forse non ancora abbastanza quindi dovremo continuare a cercarne una migliore.

E’la tristezza che genera le cose. L’arte in particolare. Le canzoni, i libri, le fotografie, le poesie.

Difficilmente il genio si esprime nei suoi momenti di serenità o di gioia. Il genio si alimenta di tutto quanto è nero, cattivo, infelice, insopportabile. Il genio si alimenta di miseria, e no, non è una frase troppo grossa per poterla digerire.

Pensateci su, pensate a quando avete scritto il vostro post più bello, scattato la vostra foto migliore, o anche solo cucinato un dolce che ha fatto sognare. Probabilmente eravate tristi, nervosi, delusi, sconfitti e avevate bisogno di incanalare tutto questo in un gesto pratico di creazione.

Ecco perché io m’innamoro perdutamente di chi attinge alla miseria, alla tristezza, al dolore, al nero.

Io la tristezza la trovo così reale, molto, molto più della felicità.

(Se vi state chiedendo cosa mi è successo, che mi sono bevuta a colazione o quale sostanza ho assunto prima di scrivere, la risposta è solo che mi sono imbattuta in lui: http://www.valeriobispuri.it/works/ , sono corsa a prendere il suo libro in libreria, mi sono innamorata e ho scritto questo post di getto. Chiedo venia!)

4 pensieri su “TRE PAROLE A TE, DUE A ME

  1. Sono d’accordo con te! La miseria è torbida, riuscire a scavarci dentro o trovare qualcuno che l’abbia fatto per noi riesce a dare un sollievo miracoloso quando siamo abbattuti e provati. La felicità è una paresi, difficile trasfigurarla in tracce scritte o dipinte, eppure… quando ci si riesce, quando qualcuno ci riesce per noi, la reazione è esponenziale, una bomba atomica!

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