INTRO(SPEZIONE)

Sono giorni strani.

Giorni in cui inizio a scrivere e cancello, di continuo, su carta e su pixel.

Perché temo di allontanare questo blog dal punto in cui era partito e intorno a cui è (un pò) cresciuto: non me ne dimentico, no, vivo i drammi dei precari/disoccupati/esodati/emigranti tutti i giorni, sulla mia pelle e su quella altrui.

Ma essendo giorni strani, mi viene più di raccontare di me. Non molto giusto, non molto coerente, ma tant’é, a volte meglio uscire fuori dal tracciato che il silenzio, o le due righe scritte in croce tanto per non lasciare che passino i mesi senza aggiornare.

Novembre sta arrivando, qui dove vivo io c’è un clima da primavera con un’umidità londinese la mattina presto e la sera dopo l’imbrunire (leggi anche: cambio tre maglie al giorno, dal maglione alla maglietta al maglioncino. Argh!).

Passo da giorni in cui mi sento, nonostante tutto, fortunata, ad altri in cui annaspo e annego (no, non ho mai imparato a nuotare!) e non so che pesci pigliare, tanto per restare in tema.

Vedo gente che parte, che torna, che si dispera, spengo la tv per scelta perché non ne posso più di sentire di crisi allarmi debiti pil spread disoccupazione giovanile tragedie morti politica partiti divisioni e tutto il ridicolo che c’è.

Parlo con ragazze venticinquenni che ‘si, sto facendo la specialistica, ma me la sto prendendo moooolto con calma, tanto il lavoro non c’è, e allora che possiamo fare? Studiamo!’, e un pò le invidio un pò ringrazio di non aver mai avuto un pensiero lontanamente simile a questo, anzi, io a 23 anni e dieci mesi ho chiuso tutti i giochi universitari, preso un bel respiro e fatto un tuffo nella fossa dei leoni: il mondo del lavoro.

Mi trovo di fronte a delle scelte, brutte e difficili per certi punti di vista, ma che, visti i miei recenti trascorsi da prontobuongiornosonoXdiY, mi fanno venir voglia di saltare, ballare e cantare per il solo fatto di doverle fare. Si: che faccio? Mi tengo il lavoro mediocre, bruttino e differente da tutti i miei sogni ed aspirazioni ma più ‘sicuro’, oppure mi butto in quella meravigliosa e precarissima esperienza lì, in quell’ufficio dove la gente fa un lavoro che potrebbe anche essere quello che vorrei fare nella vita?

E se la scelta vi sembra così ovvia, sappiate che non lo è. Sono spaventata e sconcertata dal peso che tutta questa precarietà ha sulla nostra mente, sulle nostre aspirazioni e speranze: sono pochissimi ormai i coraggiosi del ‘mi butto’, sono quelli che magari hanno avuto fortuna o una famiglia generosa e non hanno mai avuto la necessità di sedersi ad una postazione di call center o preparare 186 aperitivi in quattro ore (mio record personale, I’m proud of it!). 

Gli altri, tra cui io, tremano al solo pensiero di doverlo rifare. Di dover dimenticare di nuovo la laurea per tirare a campare, di non sapere se si avrà ancora un lavoro il mese successivo, di svegliarsi alle 8 con l’ansia che ti mangia lo stomaco e pensare ‘ e mò, che faccio?!’. E allora ok alla segretaria che si annoia sei delle otto ore che trascorre seduta davanti al pc (ma meglio che vendere contratti luce, gas e telefono!), ok al receptionist in albergo che invece voleva fare web marketing (ma meglio che preparare i Campari e Prosecco fino all’una di notte!). Meglio lo ‘stipendio sicuro’, o più sicuro, che costa il prezzo di tutti i tuoi sogni/sacrifici/anni di studio.

Ormai tutto il mondo è precario, insicuro, a scadenza bi (o tri, nei casi migliori) mestrale, è vero. Ormai neanche l’indeterminato, che è come l’unicorno, fa la vera differenza. Però però però… abbiamo troppa paura.

Poi vedo gente che fa cose meravigliose. Che vive di scrittura, progetti, evanescenti e temporanee esperienze meravigliose che da cosa nasce cosa, da una ne nasce un’altra e giorno dopo giorno c’è da fare, felici di farlo.

Poi vedo chi riesce a vivere di ciò che ama e mi chiedo se, nell’era dell’insicurezza, valga davvero la pena rinunciare a tutto per il ‘posto sicuro’ che in fondo non è poi così sicuro. Oppure se sia il caso di rischiare, essere felici per sei mesi e poi ritrovarsi di nuovo nell’abisso della disperazione (perché chi l’ha vissuto mi crede e mi capisce: è disperazione pura).

Non mi so dare una risposta, ma con l’arrivo di Novembre io dovrò scegliere. Ed un Paese che mi costringe a questa scelta è un Paese da rifare.

 

AUTUNNO IN DIECI PUNTI

No, oggi non voglio pensare.

Voglio lasciare da parte i telegiornali, i quotidiani, i catastrofici bollettini internet, i miei contributi mai versati ed inesistenti, lo ‘stipendio’ che non si sa se arriverà anche il mese successivo, lo schifo, l’angoscia, la rabbia, lo scazzo, l’invidia per chi ha avuto coraggio cinque, sette anni fa ed ora ha già una vita in piedi, ricostruita, da qualche altra parte del globo.

Dunque. La dolce Philosobia mi invitava a scrivere un post sull’argomento, Valeria mi ricordava i benefici dello scrivere spesso come terapia, e allora on  y va.

Perché amo l’autunno (o comunque se proprio non lo amo, mi sta molto simpatico):

  • Perché già da molti anni, tipo da quando ne avevo 13-14, pur amando l’estateilsoleilmareilcaldol’abbronzaturaeccetera, preferisco sempre il risveglio fisico e mentale di Settembre/Ottobre. Il corpo si scrolla di dosso l’intorpidimento da quaranta gradi centigradi e la mente si attiva e diventa più reattiva (scusate la rima cacofonica), piena di progetti, carica. Insomma, io d’estate, nonostante si tiri tardi la notte e le giornate siano più lunghe, mi ‘addormento’ un po’.
  • Perché amo le tisane. Ne sono dipendente – finocchio, thé al caramello, arancia e cannella, echinacea e lampone, posso continuare per ore – e poche cose mi confortano al mondo come starmene in poltrona con un libro sulle ginocchia, dentro la mia felpa più vecchia ed extra-large, con una tazza fumante tra le mani (che d’estate, diciamocelo, perde un po’ il suo fascino viste le temperature di questa città e l’umidità palpabile).
  • Perché provo un sentimento di adorazione viscerale nei confronti del mio piumone. Quello che preferisco è coloratissimo, caldo ed enorme, tanto che potrebbe bastare per due letti anziché uno e devo rimboccarlo continuamente da ogni lato. Ecco, io lì sotto mi sento protetta, sicura e al riparo da tutto come quasi in nessun altro luogo al mondo.
  • Perché la pioggia di domenica mattina, quando puoi rimanere a letto fino a tardi (quasi sempre), quando il mondo è zitto eccetto che per i rumori dolcissimi delle mamme in cucina, è una benedizione. Mi riconcilia col mondo e cancella per un po’ i brutti pensieri, mi addolcisce e mi calma, come una specie di ninna nanna. Il sole è meraviglioso, per carità: ma col suo scintillare è una specie di ricatto psicologico che ti fa sentire in dovere di alzarti e fare, fare, fare. La pioggia e il grigio autunnale ti concedono una tregua.
  • Perché ricominciamo con i cardigan ed i maglioni. Li preferisco caldi ma dai colori sgargianti (ocra è il mio preferito), così da confondere le idee ed adeguarsi a questa stagione a metà.
  • Perché gli smalti fluo di questa estate avevano cominciato a darmi un po’ sui nervi. Finalmente torniamo al bordeaux!
  • Perché invece di caprese, insalate di riso e pasta fredda tornano le zuppe, i legumi, le minestre fumanti. Il cosiddetto comfort food che nel mio caso include anche i dolci (li amo, mangiarli e farli), e stare lì a cucinare, per quanto lo detesti e non ne abbia mai il tempo, restituisce un certo dolce ritmo alle giornate.
  • Perché non c’è molto da fare. Piove, inizia il primo freddino pungente, e allora o cinema, o casa, o cenetta tranquilla, o libri, o quel posticino intimo che mette bella musica e fa la merenda con thé e biscotti. Giacché non sono troppo una tipa da discoteche, vita mondana e glam&glitz’, preferisco decisamente queste uscite a quelle più estive!
  • Perché tutto diventa più dolce. Le luci, i colori, i paesaggi. Alle sette del mattino, quando mi sveglio, esco sul balcone e assaporo. L’aria è davvero gelida, ma il sole nato da poco fa brillare tutto, come se si riflettesse su un enorme mare scintillante. Il tramonto è un dipinto, anche se dura poco. Tutto questo mondo soffuso fa decisamente venir voglia di abbracciarsi di più.
  • Perché riparto. Il mio vero Capodanno è a settembre. Chilometriche liste di buoni propositi, cambiamenti, svolte e nuovi atteggiamenti. Quanti ne porterò davvero avanti non lo so mai, ma so che averli mi fa già sentire meglio.

Enjoy your weekend!

UNO SU MILLE CE LA FA

Oggi parlo anch’io di una cosa di cui hanno parlato (quasi) tutti nella loro vita da blogger.

Meglio: di una persona. La persona in questione ha suppergiù la mia età, almeno 10 cm di altezza in più, probabilmente il mio stesso peso (che quindi, rapportato all’altezza, è come avere 10 chili in meno, se la matematica non è un’opinione), colori (pelle, occhi e capelli) completamente opposti ai miei.

Ma la differenza sostanziale è un’altra: trattasi di risorse finanziarie.

Siete abbastanza curiosi, adesso? Ok, sto parlando di lei. L’insalata bionda.

The blonde Salad, aka Chiara Ferragni, è una innegabilmente bellissima ragazza dai colori nordici che a soli 25 anni o giù di lì ha creato un vero e proprio impero partendo da un blog. Letteralmente: sono incappata di recente in un suo post in cui festeggiava il quarto ‘anniversario’ del suo sito, creato per pubblicare outfit di moda da lei indossati, che le ha poi portato collaborazioni con grandi marchi, proposte di sfilate, la possibilità di viaggiare mezzo mondo e di realizzare un sogno.

Attualmente Chiara, oltre ai lavori freelance come modella e testimonial dituttounpò, ha una PROPRIA azienda con altri ragazzi come collaboratori o dipendenti che siano, ha una PROPRIA linea di calzature, e via dicendo.

No, non sto facendo pubblicità occulta né lecchinaggio estremo.

Che sia bella è un dato di fatto. Che abbia avuto culo, anche. Che il fatto di avere un viso e un fisico adatti al mondo della moda l’abbia aiutata tantissimo è di certo vero. Che la ‘base di partenza’ (una famiglia benestante, gli studi alla Bocconi, la possibilità di comprare la X borsa da millemila euro con cui creare stratosferici abbinamenti) sia stata un trampolino di lancio notevole, lo è altrettanto.

MA. C’è sempre un ma. Io, che ne apprezzavo la piacevolezza delle foto ai tempi del nonmisifilaquasinessuno, ne ho lette di tutti i colori. E’stata criticata, giudicata, accusata di falsità, di ostentare, di essere vuotastupidagallinaoca, di essere solo una sciaquetta arrivista, di farsi prestare i vestiti che non erano in realtà suoi, addirittura di essere una persona poco attenta all’igiene personale.

Tutto questo noi non possiamo saperlo. Lo sa solo chi la frequenta e la conosce di persona. Non ho mai lasciato commenti né belli né brutti, perché non sopporto lo sparare a zero ma neanche la patetica adulazione.

Quello che so, e di cui sono certa, è che lei è una come tante, solo un po’ più fortunata della media. Avrebbe potuto arrendersi alle critiche, cedere a chi le diceva sei ridicola, la smetti di farti le foto?, e tornare a studiare. Magari avrebbe trovato lavoro in due giorni o magari sarebbe stata una delle tante disoccupate e laureate italiane.

La sola differenza sicura tra me e lei, appunto, è che magari anche da disoccupata non avrebbe mai avuto bisogno di finire in un call center.

Per il resto siamo uguali, lei è uguale a tanti/e. Solo che è andata avanti. A costo di prendersi tutti gli insulti del  mondo (gli utenti rosiconi hanno una fantasia incredibile, non lo sapete?), a costo di farsi criticare per ogni scelta, parola, frase, accento sbagliato. Ha creduto nel suo sogno e ce l’ha fatta, in grande stile anche. Ha proseguito sulla sua strada come un carro armato rinforzato, e adesso, mentre la maggior parte di noi si dispera, fugge a fare il cameriere all’estero o si arrangia come può, lei vive una vita da favola e si prende le sue soddisfazioni.

Ora, attenzione. Scendiamo tutti dalla bella nuvoletta su cui siamo momentaneamente sospesi. Io alle favole ci credevo, si, ma quando avevo dieci anni. So che la vita è altro, che non tutti abbiamo il tempo di curare un investimento digitale ed etereo sperando che frutti, che quasi nessuno può spendere mille euro per una borsa e tre ore del proprio tempo per capire come abbinarlo.

Questo è il cosiddetto alto livello, si…ma esistono i livelli intermedi. Non a tutti piace la moda, per molti è solo una perdita di tempo e denaro. Ma tutti hanno un sogno. Può essere scrivere, dipingere, insegnare, organizzare matrimoni o cucinare torte. Può essere un ristorante macrobiotico o un lavoro nel sociale.

E, dannazione, vivendo in questa maledetta epoca che ci taglia le ali, le mani e spesso anche i piedi e ci costringe ad ancorarci ad una realtà fatta di co.co.pro, bollette, affitti e mutui e tanta, tanta, tanta instabilità (nel mio caso, anche mentale), spesso ce ne dimentichiamo. Lasciamo i sogni nel cassetto e viviamo la vita come meglio possiamo.

Ma i sogni nel cassetto fanno la muffa. Tirateli fuori e spolverateli un po’. Io lo so che è difficile: lo vivo tutti i giorni sulla mia pelle. Ma non smettere di cercare, di provarci, e sotto sotto anche di crederci, è già la nostra personale ottima ‘base di partenza’.

Una goccia d’acqua, se persiste, scava la roccia.

(‘Azzarola, troppa positività dite?! Tranquilli, torno a breve acida e cinica, ma intanto… Happy Wednesday!)

DI COLLOQUI ED ALTRE ASSURDITA’

Io sono una maestra di colloqui, ormai.

Anni di esperienza di invio compulsivo di curriculum vitae, ed una media di un paio di colloqui a settimana mi permettono di potermi autoproclamare guru del settore. Non è detto che un giorno, in libreria, non ci troviate una GUIDA AI COLLOQUI DI LAVORO: 101 MODI PER SOPRAVVIVERE SENZA COMMETTERE OMICIDI. Autore: Lilaccì. Prezzo: 9 euro (non uno in più).

Se sorvoliamo sul fatto che gli annunci di lavoro sono di una tristezza colossale e di una varietà che neanche la dieta più restrittiva (petto di pollo – arrosto di tacchino = operatori call center – procacciatori d’affari), bisogna partire da una premessa fondamentale.

Sul mio desktop, nella cartella CV, io ho otto curricula diversi. Non è il mio numero portafortuna: sono proprio otto. Memore delle volte in cui, ingenua e fiduciosa, sono andata a consegnarli nei negozi con tanto di laurea in bella vista e mi sono sentita rispondere ‘scusi, eh, ma lei con la laurea viene a cercarmi il posto da commessa?! guardi, mi dispiace….’, memore delle volte in cui mi proponevo per fare volantinaggio e mi è stato detto ‘ma lei ha qualche esperienza precedente nel settore?’ ed io ho candidamente risposto ‘bè, no… ma penso di potercela fare comunque a distribuire volantini per strada…’ e memore di tutte le volte in cui questi tentativi sono culminati in fantastici e sonori PLLLLLAFFFFFF (buchi nell’acqua), ho imparato la lezione.

C’è il CV ‘LilaccìB’, che sta per ‘barista’: laurea tagliata, esperienze nei bar allungate e sottolineate col grassetto, tolti i commenti tipo ‘problem solver; ottima capacità organizzativa’, sostituiti da ‘cockteleria e caffetteria di base, velocità e buona memoria’.

C’è il CV ‘LilaccìS’, che sta per ‘segretaria’ o qualsiasi ruolo amministrativo: laurea tagliata (si, le vogliono diplomate, basta e avanza e puoi pagarle di meno), tolti anche i lavori da cameriera e baby sitter (bè, signorina, come vedo lei ha spaziato in molti campi… cosa le fa pensare che questo possa essere un ruolo definitivo per lei?), sottolineato l’Excel anche se poi lo userai forse una volta al mese.

C’è il CV ‘LilaccìC’, che sta per ‘commessa’: laurea tagliata (echevvelodicoaffà?), lasciata l’esperienza di call center (è vendita!), enfatizzate le capacità relazionali e la tua disponibilità a lavorare anche nei week-end, festivi, superfestivi e pure il giorno del tuo matrimonio, se richiesto.

E andiamo avanti così… fino ad arrivare al CV ‘Lilaccì’, quello vero. Quello dove c’è la laurea, quello per i ruoli che sarebbero di mia competenza o quantomeno un po’ più vicini a ciò che ho studiato, di cui ho esperienza e che mi piacerebbe fare.

Vogliamo soffermarci su quanto sia triste, sconvolgente ed assurdo che su otto versioni, almeno sei siano senza laurea perché altrimenti non vengono neanche presi in considerazione?

Si: ho imparato a bluffare, mentire e raggirare, anche in fase di colloquio vero e proprio.

‘Ah, signorina, ma lei è giovane… E mi dica, mi dica, è fidanzata?’

‘Io? Macchè!! Io ripudio ogni tipo di relazione, sto benissimo sola e non ho la minima intenzione di avere figli e famiglia, né ora né mai!!’

‘Ah, mi scusi, una domanda fondamentale… lei non è laureata vero?’

‘Io? Io no, mi sono fermata al diploma…’

‘E come mai non ha proseguito, con la maturità classica?’

‘Bè, io volevo lavorare, gli studi non erano fondamentali per me…’

‘Ah, bene. No, sa, è perché noi le laureate non le prendiamo proprio in considerazione. Offriamo un posto da segretaria part-time, quattrocento euro netti al mese e poi le laureate sa come fanno? Prima dicono si, si, mi va bene, poi però sono spocchiose e appena trovano altro se ne vanno, mi lasciano a piedi e io devo cominciare a cercare di nuovo! Cose da pazzi guardi!’

‘Senta signorina, lei ha buoni requisiti.. Ma io ho bisogno di sapere una cosa, lei ha una vita sociale intensa? E’per caso una che pretende di uscire sempre ad un orario fisso, che ha impegni di sera o di sabato? No, perché a me serve la massima disponibilità!’

‘Assolutamente guardi. Io non ho vita sociale né amici, non vado in palestra né pulisco casa. All’occorrenza, ho un kit di accampamento davanti al pianerottolo dell’ufficio, molto utile, comprensivo di fornelletto a gas!’

Chi sa adattarsi supera le crisi, dicono. Vi farò sapere!