LA LISTA DEI SOGNI POSSIBILI

Se non ci si risolleva l’animo neanche nel giorno di paga, bé, allora la situazione è grave davvero.

Detto questo, oggi voglio parlarvi di un libro.

Un bel libro che ho letto qualche tempo fa, comprato alla Feltrinelli mentre, come sempre, ero alla ricerca di qualcosa da leggere che un pò mi consolasse, un pò mi svagasse, un pò mi fosse d’ispirazione (sono di poche pretese, si).

E ho trovato lui. Bello già dalla copertina: una ragazza che, con l’ombrello aperto, si ripara da una pioggia di deliziosi cuoricini rossi.

Il titolo: Olivia, ovvero la lista dei sogni possibili. Come potevo lasciarlo lì, con una promessa/premessa simile?

L’autrice è Paola Calvetti, scrittrice e giornalista milanese che peraltro è pure diplomata in Lingue (sarà che a lei siano servite?). Scrive bene, molto bene, a mio parere. Una scrittura fluida e semplice che ‘disegna’ le cose, più che raccontarle. Nel senso che le sue scene le vedi davanti agli occhi, nella tua cucina (povero il mio ragazzo che vive con me e con le mie allucinazioni!), tanto sono tratteggiate bene.

La storia, pur essendo un tantino banaluccia, è anche molto veritiera,a tratti ottimista. E’la storia di Olivia, poco più che trentenne, laureata e ‘masterizzata’ (rivedetevi la categoria: i neologismi di cui avevamo un estremo bisogno) in marketing o giù di lì, super precaria, che di punto in bianco, sotto Natale, perde il suo posto di lavoro come addetta stampa in un ufficio di comunicazione.

La causa? Eh beh, ve lo chiedete pure? Sempre lei, la mia miglior nemica! La crisi.

Così, dopo un pomeriggio solitario di pianti, disperazioni, sms non risposti di una migliore amica preoccupata e un pò sensitiva, Olivia inizia a chiedersi cosa può fare per restare a galla, reinventarsi e sfruttare quella resilienza che a noi giovani laureati d’oggi viene richiesta o data per scontata quasi come fosse un cromosoma aggiuntivo del nostro Dna (tipo: le giraffe col collo lungo se no non mangiavano le foglie degli alberi, noi con la resilienza se no faremo la muffa a casa per il resto della vita. Mi seguite si?)

Di qui, morbidamente, mentre fuori cade la neve, la storia prosegue, con Olivia che tira fuori dalla memoria gli insegnamenti della dolce nonnina, stilando liste più o meno fattibili per risparmiare, evitare di dover tornare a vivere coi suoi, riciclarsi nell’attesa di trovare un nuovo lavoro, il tutto scritto con grazia e dolcezza.

Poi c’è Diego (secondo voi poteva mancare un lui?), ombroso e complicato, uno di quelli con le classiche ferite-poco-rimarginate che solo l’amore vero potrà salvare, e ci sono i fili del destino che s’intrecciano… insomma, non vi svelo il finale ma ci potete tranquillamente arrivare da soli: l’amore è il senso, l’amore salva tutto, al lavoro poi ci si pensa, ecco.

Per carità: libro carinissimo. L’ho letto d’un fiato, in un paio di sere in cui ero alla ricerca di risposte (mai trovate, ovviamente), e mi è piaciuto davvero. 

MA.

Avrei giusto un paio d’appunti da fare alla Paoletta Calvani, quello che IO avrei scritto per rendere il libro ancora più attuale e veritiero. Li faccio senza cognizione di causa, avvalendomi solo della mia (ampia) esperienza di laureata a-tratti-precaria-a-tratti-disoccupata, senza nulla togliere allo stile e all’indiscussa bravura dell’autrice.

1.Olivia ripercorre i suoi trascorsi lavorativi post-laurea. Ecco, a parte un paio di stage non pagati, o pagati poco, e qualche esperienza da baby sitter, poi taaac!, c’è subito IL LAVORO. Precario, okkei. Ma IO pagherei sangue lacrime e sudore (come sono melodrammatica certe volte!) per essere precaria svolgendo il lavoro dei miei sogni (o comunque un Bel Lavoro), piuttosto che esserlo comunque per fare quello che faccio adesso (stendiamo un velo pietoso, anzi, avendo finito i veli, stendiamo un piumone di pietà). Inoltre, di media, un laureato dei nostri tempi passa prima attraverso biliardi e triliardi di esperienze lavorative come lavapiatti, pelacarote, tata, portagiornali e vernicia-steccati (esistono ancora?) prima di trovare anche solo uno STAGE SENZA RIMBORSO che riguardi il campo per cui ha studiato. Ecco perché poi lo accettiamo, soldi o non soldi.

2.Se uno perde il lavoro, cara Paola… perde il lavoro. E se vivi in affitto, com’è il caso della nostra protagonista, c’è poco da fare gli schizzinosi. L’affitto non puoi più pagarlo: quindi O trovi all’istante un altro lavoro, O trovi un ricco sceicco arabo che s’innamori di te alla follia e decida di mantenerti, O torni da mammà. Anche se questo vorrà dire, probabilmente, il coprifuoco alle ore 23.00, carboidrati a pranzo e a cena e lunghe dissertazioni sul perché non ti prendi abbastanza cura del tuo bucato.

3.L’amore redime, salva e aiuta. Siamo d’accordo e ci credo fermamente (testato sulla mia stessa pellaccia). Redime, salva e aiuta, appunto. Poi basta. Nel senso che se sei disoccupata e trovi l’amore della tua vita, resti disoccupata. Certo, magari per un pò te ne freghi, per un periodo ci pensi di meno, la vita ti dà altre soddisfazioni e riesci anche a sorridere. Ma il lavoro, se manca, continuerà a mancare.

Quindi #sapevatelo: se mai scriverò un libro, io il lieto fine non lo metto! Oh!

P.S.vi rinnovo l’invito a stalkerarmi tramite la sezione contatti… se no poveretti, stanno lì tristi e soli e si sentono inutili! 😉

 

HO BISOGNO DI UN’ANCORA (leggi àncora)

Secondo voi, no.

Se io alla veneranda età (si, lo è per il mercato del lavoro italiano) di quasi 27 anni, tralasciando il fatto che ho una laurea e blablabla.

Se io a tale età, dopo biliardi di fregature lavorative e attese inutili e invii di cv a tutto lo stivale con il tipico modo di fare del maniaco ossessivo-compulsivo, mi iscrivessi a un corso di estetista/parrucchiera/manicure.

Secondo voi, ho qualche speranza e possibilità di avere finalmente un Lavoro ed uno Stipendio, di poter rimanere nel mio Paese senza dover finire in Culonia, di poter evitare di intraprendere la carriera di clochard come stavo appunto pensando di fare?!

Vi prego, ditemelo. Perché oggi è lunedì e io ho bisogno di un’àncora.

IN&OUT

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No, non mi riferisco al celebre film con Kevin Klein.

E nemmeno all’espressione usata dai ccciòvani very fashion per indicare cosa va di moda e cosa, invece, è ormai caduto nel dimenticatoio.

No: oggi voglio parlarvi di una differenza sostanziale nella vita di un telemarketer (giovane razza in via di sviluppo, ndr): quella tra inbound e outbound.

Come credo abbiate ormai capito, io, che sono un esemplare rarissimo di fortunella fortunellae, ho la fortuna di vivere in una città con moltissimi call center. Ce ne sono per ogni azienda, grande o piccola, locale o nazionale, telefono luce gas biglietti del teatro riviste siti web frutta e verdura scampoli di lana biologica per i vostri calzini equo solidali. Bene: nessuno di questi è inbound. Dunque, per deduzione logica, outbound sono detti quei call center, come il mio, che chiamano per acquisire nuovi clienti tramite contratti ed appuntamenti. Abbiamo un database che ci viene dato già compilato e su cui non abbiamo altro potere che quello di scrivere un esito (ok, numero inesistente, attività cessata, fax, ufficio in fase di trasloco, occupato…), e siamo noi (o meglio un programma computerizzato che lo fa per noi) ad effettuare le chiamate.

Ora. So che il momento è difficile, so che cc’èlacrisi (è passata giusto ieri da me per un caffè e una fetta di torta), so che i call center sono quasi l’unica scelta per i giovani laureati, e blablabla.

Ma quello che ottocentomiliardidivolte/sec mi chiedo è: se proprio dovevo finire a lavorare al telefono, non poteva essere almeno un inbound? Dicesi tali, infatti, i più comunemente conosciuti come servizio assistenza clienti.

Per intenderci, tutti i numeri verdi, rossi e gialli che componete quando avete un problema con la copertura/la connessione internet/la puntualità dell’abbonamento per la vostra rivista/la bolletta del gas.

Io me li immagino spesso, questi miei colleghi di secondo grado, anche loro con cuffia e pc, che devono pazientemente ascoltare i problemi di millemila clienti al giorno, che subiscono magari le loro ire perché è la tremilionesima chiamata e non hanno risolto il problema, che fanno turni allucinanti perché spesso il servizio clienti è aperto h24.

Però c’è un però. Un però che ai miei occhi, e di ‘sti tempi, è come una brocca di mojito alle 12.00 del 15agosto.

Ma ci immaginiamo che meravigliosità non essere io a chiamare, bensì a ricevere la telefonata di qualcuno che chiama di sua spontanea volontà?! Ehhh?! Un miraggio.

Il 75% di abituali risposte outbound quali a)non mi scocciate, b)se voglio sapere qualcosa chiamo io, c)sto lavorando  – e qui scattano infinitesime versione dell’ ‘io no, io sto…’ divertitevi a completare al posto dei puntini! Alcune opzioni consigliate: facendo la maglia, seguendo un corso professionalizzante per stalker, giocando a calcio, incrementando l’utilizzo del telefono… poi lavorate di fantasia -, 4)avete rotto i #[]@#]#@[[.

Insomma: io personalmente mi sentirei più utile e saprei di stare facendo qualcosa per qualcuno, fosse anche attivarvi la promozione chiama tutti i numeri a 0,1 cent al minuto e ti regaliamo anche una fornitura di dentifricio alla lavanda per tutta la famiglia.

So ed immagino che ci deve essere, anche lì, un rovescio della medaglia… ed è per questo che aspetto le testimonianze degli inbound : per consolarmi e convincermi che un call center è sempre un call center!

P.S. ma qualora un inbound avesse bisogno di me… basta un fischio!!

UNA CIAMBELLA COL BUCO (UNA SOLA)

Se Caparezza cantava ‘sto per impazzire come dentro un call center’ c’era un motivo, credetemi.

Comunque, bando alle ciance, alla depressione e alle lamentele per oggi: oggi è la giornata della positività, della speranza, dell’empatia e dei sorrisi!

….

Ci avete creduto almeno per due secondi? Ditemi di si, vi prego.

E’che con un ‘lavoro’ (vorrei poter inserire più virgolette) del genere è davvero difficili essere propositivi e solari, con tutta la buona volontà.

Però. C’è sempre un però. Il mio però di oggi, nello specifico, si chiama Nicola M., di Bari, commerciante.

Lilaccì: Pronto buongiorno la contatto dagli uffici X, parlo con il sig. M.?

Nicola: Si, buongiorno, eccolo, mi dica.

L: Salve, guardi volevo semplicemente lasciarle un’informazione, lei è cliente business quindi blablablablablablabla…

N: Signorina, mi scusi, le faccio una domanda. Come si chiama lei?

L: Dalila…

N: Complimenti, bellissimo nome. E mi complimento anche per la sua gentilezza e la capacità di espressione. Però sa com’è, io sono controcorrente, rifiuto l’offerta, mi tengo quello che ho e pago di più.

L: *risatina tra l’isterico, il rassegnato e il sinceramente divertito*

N: Vede, l’ho fatta sorridere! Lo so, signorina, io sono un commerciante. Mi creda, so che è un momento davvero brutto. Ma passerà. Quindi teniamo duro e si faccia forza! In bocca al lupo per tutto!

Ecco. E’per persone così che alla fine trovo la forza di tornare anche il giorno dopo. Per quelli che ti capiscono senza che tu dica niente, che ti fanno sentire meno sola e che ti regalano, gratuitamente, un pezzettino di speranza. L’avvolgo in uno dei fogli del mio block-notes (sempre quello del cartello ‘non g’inderessa’, ricordate?) e vado avanti, tenendola stretta.

Ovviamente, e qui finisce il momento poetico, ho scontato questo dono del cielo con tre-dico-tre telefonate una dietro l’altra a pazzi isterici che avevano avuto una brutta giornata, e vi riporto qui il résumé dei personaggi con cui ho a che fare quotidianamente.

L: Buongiorno signora, la chiamo per informarla che blablablabla…

Sig.raPazza: AHHHHHHHHHHHHH, BASTAAAAAAAAAAAAA, NON VI SOPPORTO PIU’CON QUESTE CHIAMATEEEE, IO STO LAVORANDOOO (ed io no… io sto pensando a 101 modi per costruire un razzo supersonico!), COSA CAVOLO MI CHIAMATE?! EH? EH? EHHHHEEEH?? SPIEGATEMELO!!!

L: Si, signora, per l’appunto volevo spiegarle il motivo della chiamata…

SP: NOOOO, VOI NON CAPITEEEE, CHE CASPITA MI CHIAMATE A FARE!!!! MA VENITE QUI DI PERSONA!!! DOVETE VENIRE QUI DI PERSONA, MI HA CAPITA?! MI HA CA-PI-TA?!?!!?

L: Esatto signora, se mi fa mettere tre parole in fila, le volevo dire che è proprio questo il senso della mia chiamata, fissare un appuntamento con lei per venire di persona.

SP: MA A ME NON ME NE FREGA NIENTEEEEE, NIENTE!!!! SE VOGLIO QUALCOSA VI CHIAMO IO!!! HA CAPITO?!?!!?!? NON MI INTERESSA CHE LEI LAVORA!!! NON MI INTERESSAAAAAAAAAHHHHHHH!!!

Avete commenti? Io credo che la signora abbia lasciato tre corde vocali attaccate alla cornetta. Il mio timpano, come sempre, sentitamente ringrazia.

OFF TOPIC: Ricetta-lampo per i pancake, chiestami da Valeria nel post precedente: eccotela!

PER 4 PERSONE

125 gr farina

200 ml latte

2 tuorli

15 gr zucchero

25 gr burro

6 gr lievito

un pizzico di sale

Latte+tuorli+farina+lievito+sale+burro fuso;

a parte, monta a neve albumi e zucchero e incorpora al precedente composto.

Padella antiaderente leggermente imburrata, un pò di composto a partire dal centro… lascia dorare e gira dall’altro lato! Farcisci a piacere: nutella, panna, banane, fragole, sciroppo d’acero.. solo i sensi di colpa per le ottomila calorie non ci stanno bene! 😉

RICOMINCIAMOOO-O!

E’stato venerdì: un bel pranzo fuori col sole tiepido, una passeggiata per digerire, un pò di window-shopping (non sarà difficile intuire perché solo quello…)

Poi è stato sabato: caffé e chiacchiere con un’amica, spesa settimanale, finalmente un paio di tacchi e una serata rilassata e tranquilla con gli altri, tra molteplici Malibu&cola, foto senza senso e risate random, quelle che fanno bene.

Infine, domenica: dormire fino a mezzogiorno, cucinare i pancakes fragole e banane, un caffé in centro, ricucinare i pancakes perché ti trovi la casa invasa da un gruppo di famelici e simpatici amici che arrivano con una shopper dal dubbio contenuto (panna spray, barattolo maxi di Nutella, banane, latte) e ti ordinano di cucinare perché si sono svegliati due ore prima. Subito è ora di letto, un pò di cose da sbrigare al pc, e sogni d’oro al mondo.

Insomma, è stato un bel week-end, il mio. Rilassante, tranquillo ma non troppo, alcolico nel giusto, e dolce. E non solo perché ho cucinato chili di pancakes per tutti.

E poi cos’è successo, direte voi? Quello che – purtroppo – succede sempre: è suonata la sveglia, mi è venuta l’ansia, l’orribile vocina nel cervello ha urlato LUNEDììììììììììììììììììììììììì, il caffé ha fatto effetto solo dopo tre ore, e c’era la pioggia.

Oltre al fatto che, ovviamente, ho passato quattro ore con una cuffia dal volume bassissimo alle orecchie, e che, visto l’alto tasso di nevrosi tipico del lunedì, oggi mi è andata anche bene: poche parolacce, pochissime urla e tutti abbastanza gentili e comprensivi. Sconterò tutto domani, lo so.

La verità è che lo scazzo è generale, che vedo le facce delle mie colleghe al mattino e mi viene una rabbia immensa, che a volte ho attimi di lucidità in cui visualizzo tutta l’inutilità di questo ‘lavoro’ e che il lunedì il futuro è sempre più nero se solo provi a guardarlo, quindi ho cercato di evitare.

Ho cercato di sonnecchiare, di non innervosirmi, di non pensare affatto, di smanettare con il cellulare cercando nel frattempo altri (ennesimi, innumerevoli) indirizzi a cui inviare il CV per QUALSIASICOSACHENONSIAQUESTO.

Ci sono riuscita solo in parte, ovviamente. Sarà per questo che cucino pancakes, sarà per questo che non posso uscire di casa senza una colazione ipercalorica ad alto tasso glicemico: c’è troppo amaro in bocca, in gola, e non scende giù, si può solo cercare di occultarne il sapore.

Mi aspetta un altro pomeriggio di lavoro, per fortuna un lavoro diverso (ma qualcosa in comune col primo ce l’ha: l’essere fortemente sottopagato!), un pò di ‘mio’ lavoro, dove le ore passano più velocemente e mi arricchisco di qualcosa, dò qualcosa, reinvento, ho uno scopo. Un pò di lavoro-ossigeno. Perché ci sono lunedì come questo in cui mi perdo nel pessimismo cosmico e davvero, davvero: io una soluzione non la vedo e non so più dove cercare.

P.S. Sono stata brava e diligente quindi ora ho una sezione CONTATTI aggiornatissima, se volete farmi dello stalking avete tutti gli strumenti! 😉

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LE PERLE DEL GIORNO (E DITELO CHE NON VIVRESTE SENZA!)

E’venerdì. Vi rimando al mio post precedente sul venerdì e vi dico che siamo in fascia oraria da aperitivo (anche se io sono a casa, in pigiama, a mettermi lo smalto e spero di non crollare in coma ma riprendermi e uscire), quindi non mi conshénto nessun pensiero negativo, nessuna imprecazione e/o parolaccia mentale.

Ma non potrei MAI abbandonarvi un intero week-end senza le perle del giorno, che oggi sono state rare e preziose. Rullo di tamburi, ed eccovi qui…

LA ‘SVOLTA’

-Salve, cerco la titolare…

-Si, signora, purtroppo la titolare ha avuto un infortunio

-Ah, mi spiace! Quindi non mi sa dire quando rientra in attività?

-Si, dovrebbe rientrare la settimana prossima, con le stampelle… E’che purtroppo si è presa una svolta alla caviglia!

 

DOMAN(O) E’UN ALTRO GIORNO

-Signor’, il titolare lo trova domanO, quindi oggi pomeriggio inutile che richiama!!

 

UN NOME UN DESTINO

-Risponde la segreteria del dottor Porcelluzzi, ginecologo. Il dottore è momentaneamente assente…

COM’E’UMANO LEI!!

Valeria di Domani è un altro giorno, che ha commentato il mio post precedente, mi ha dato lo spunto per scrivere anche oggi che ero a corto di idee (o meglio, col cervello in panne dopo la mia mattinata lavorativa che ormai ben conoscete…).

Mi chiedeva, molto carinamente, come fare a rispondere alle innumerevoli chiamate call center che riceve senza ferire la sensibilità del povero telemarketer. Ora, io lo so che ad essere sfigati siamo in due: noi che chiamiamo, voi che rispondete. So che fare questo lavoro è frustrante, ma stare dall’altra parte lo è altrettanto, e che a volte nutrite istinti omicidi nei confronti della voce che tenta di vedervi un chilo di scampi surgelati che arriveranno freschi freschi a casa vostra, un abbonamento al teatro che sta per chiudere nel quartiere più malfamato della città o l’ennesima sim con la tariffa vantaggiosissima. Io lo so, credetemi. Ricordate che oltre ad essere ‘quella che chiama’, io sono anche ‘quella che risponde’, a volte, e da quando mi trovo costretta a fare questo lavoro ho cambiato decisamente approccio.

Perciò eccovi qui 

LE CINQUE COSE CHE ODIO DI PIU’

Sottotitolo: compi una buona azione quotidiana, adotta anche tu un operatore telefonico!

  1. Rullo di tamburi: in cima alla lista dell’odio ci sono quelli che non ti fanno proprio parlare. Io lo so che vi abbiamo sfrantumato i gioielli di famiglia e che non ci sopportate più, ma vi prego, VI PREGO: fateci pronunciare tre parole di fila. Poche cose stimolano la nostra parte psicolabile propensa all’omicidio come chi, quando tu stai ancora dicendo ‘pronto’, hanno già detto ‘nonmiinteressaciavetechiamatocinquevolteautoproduciamonoipersonalmentetuttoquellochecioccorreiltitolareèmortostiamochiudendononhotempograziesalvearrivederci’ senza prendere fiato. Considerate che siamo settati per ripetere uno script a velocità sostenuta, quindi al massimo vi ruberemo due minuti: concedeteci questo lusso, fate finta di ascoltarci anche se in quei due minuti penserete a cosa cucinare a pranzo!
  2. Sul podio ci sono anche quelli che non salutano. In genere capita quando ‘il titolare non c’è’ oppure abbiamo decretato che proprio non vi interessa, quindi stiamo per riagganciare. Se io, cercando di mantenere il sorriso (e vorrei solo farvi vedere che mission impossible è quando ci si trova ad una postazione call center!) dico ‘ok, la ringrazio molto, buona giornata’… a voi cosa costa dire GRAZIE, ALTRETTANTO prima di sbattermi il telefono in faccia?! Tanto lo farete comunque, quindi per carità del cielo, SALUTATECI! Siamo esseri umani, quasi sempre ragazze/i che potrebbero essere vostre/i figli/nipoti/baby sitter/dirimpettai/amici. Fateci sentire umani! 
  3. APPELLO DISPERATO ED ACCORATO ALLE SEGRETARIE, LE ASSISTENTI, I COLLABORATORI TUTTI: Se NON siete il titolare, vi supplico… non siete il titolare. So che magari il fatto che vi stia chiamando un call center vi fa scattare una sorta di delirio di onnipotenza per rivendicare il potere decisionale che solitamente non avete, ma ora vi svelo un segreto: finché NON parliamo con il titolare, siamo tenuti a RICHIAMARE. Sapevatelo!
  4. Quelli che ‘sono di fretta e non ho tempo’. Anche qui come sopra: meglio ‘non mi interessa proprio’ che una frase del genere! Finirete nei ‘riprova’ fin quando non vi avremo detto quello che dobbiamo dirvi. Siamo fatti così, impetuosi e testardi! (Anche no, ma è questo quello che ci dicono di fare, e come diceva un vecchio saggio, tu mi dici quello che devo fare, e io lo faccio… cit.Pino la lavatrice)
  5. LEAST BUT NOT LAST: ricordatevi che il nostro, seppure irritante, inutile, scassap***e, brutto, frustrante, angosciante… è un LAVORO. Non siamo lì perché stiamo seguendo un corso da stalker professionisti, né perché proviamo piacere sadico nel sentirci mandare a quel paese in media 80 volte al giorno: siamo lì per guadagnare dei soldi (e non vi sto neanche a dire quanti altrimenti vi mettereste a piangere tutti insieme per me), e perché non abbiamo altra scelta (per ora… la speranza è l’ultima a morire).

Grazie a Valeria e a chiunque, d’ora in poi, risponderà in modo diverso a quei poveri sfigati che vi tartassano di telefonate! 😉

AND THE AWARD GOES TO…

In genere l’ironia mi salva.

In genere riesco a gestire piuttosto bene le solite quattro ore del mio turno senza ricorrere ad ansiolitici e Xanax.

In genere sono talmente tanto autoironica da registrare sul mio block notes le risposte migliori, ci faccio una top ten (o un podio da tre posti, se non é un giorno di quelli molto ricchi), riesco a riderci.

In genere rispondo a tono dal microfono della cuffia, per sfogare un pò di stress e far capire al mio interlocutore di turno che serve rispetto, comunque, che già di per sé quello che sto facendo non mi riempie di giubilo e soddisfazione.

Si dà il caso che oggi non sia una giornata ‘in genere’, ma una giornata che (pur essendo mercoledì) somiglia tanto a uno di quei lunedì dopo una domenica bellissima, quelli che quando suona la sveglia vorresti buttarti sul pavimento sbattendo i piedi e piangendo come se non avessi più di quattro anni, quelli che non finiscono mai e l’unica cosa buona è che prima o poi FINISCONO.

Si dà il caso che oggi l’ironia non aiuti, il mal di testa si sia svegliato esattamente nello stesso istante in cui ho aperto gli occhi, la giornata sia andata di merda (capite il francese, si?) e io non riesca a recuperare un umore decente, nonostante cinquehodettocinque cucchiai (non cucchiaini) di nutella come se la prova costume fosse un concetto puramente filosofico.

Nonostante questo, piuttosto che lamentarmi e dirvi che l’unica cosa a cui penso in giornate come questa è tutto quello che manca, tutto quello che non ho, tutto quello che sto perdendo e tutto il tempo che sto sprecando, vi lascerò con le due perle di questo mio MERcoledì (dove MER ha un doppio significato), dopodiché mi direte se non ho un pò ragione, a scazzarmi in questo modo.

 

CASO 1 : BIPOLARISMO E SINDROME DI PERSONALITA’MULTIPLA

-E’lei la titolare, mi scusi?

-No, non sono io.

-Ah, ecco, io avrei gentilmente bisogno di discuterne direttamente con la titolare.

-Si ma ne stiamo già riparlando, a me non interessa!

-Ah, ma quindi é lei la titolare?

-No, la titolare non c’é.

-Ecco, bene, come le dicevo ho bisogno della titolare in persona. 

-Sono io.

-Ma se un attimo fa mi ha detto di no!

-Eh si, perché infatti é vero, però sono io la titolare.

(…)

CASO 2: MISTER SIMPATIA QUI NON C’E’

-Mi scusi, ma non mi risulta che questa attività sia un franchising, mi sbaglio?

-No signora é un franchising, la sede è a Milano.

-Ok, quindi fate capo direttamente a Milano?

-Si esatto, a Milano!

(Riaggancia credendo di farlo ma senza chiudere la cornetta sul serio, dice alla collega: Ahahahahhahahahahhahahahahhahh!!! La sede centrale a Milanooo!!! Ahahhahahahahahahah! Adesso chiamano a Milano cercando la sede centrale!! AhahHAhahHHAHAHAHAHHAHAHAHHAHA! Dopo essersi sbellicata di risate, riprende il telefono e…)

-Ma… Pronto?

-Si signora, sono sempre qui. La aspettavo per comunicarle che ha ufficialmente vinto il premio simpatia 2013!! E’contenta?

 

 

HABEMUS SOUNDTRACK

Ebbene si!

Che sia sfatato il mito che questo ‘lavoro’ non è un lavoro (cit. un certo Beppe), che non abbiamo alcuna importanza nel mercato nazionale e che non siamo parte integrante dell’economia nostrana.

Perché ci hanno dedicato anche una canzone. Anzi, nello specifico, una ballata, che è ancora più di classe. Ho trovato questo testo per caso e ho pensato di appenderlo domani mattina, all’inizio del mio turno, in bella vista per tutte le postazioni. E poi ho pensato anche no, che non voglio contribuire ad aumentare il tasso annuale dei suicidi.

Dunque non farò altro che condividerlo qui, questo moderno Silvio Pellico che, tralasciando le velleità prettamente musicali, ha scritto un testo che è un pugno in faccia per quanto è vero. La mia generazione, salvo eccezioni… ma l’eccezione, purtroppo, conferma la regola.

 

LA BALLATA DEL CALL CENTER
(Riccardo Scirè)

Siamo gli indifferenti, siamo i figli di puttana.
Sognamo l’Inghilterra ma non leggiamo Moravia.
E non c’è più un confine tra musica e rumore.
E anche nei call-center ormai si fa il turnover.
E sì, ti voglio bene, però a fondo perduto.
La crisi dei trent’anni l’ho avuta quando son nato.
E siamo troppo pigri per essere incazzati.
Persino la mia rabbia ormai è cassa-integrata.

La musica leggera ormai è così pesante.
Mi sento un pezzo di cristallo e il mondo è un elefante.

Whoa, la mia generazione è degenerata.
Whoa, la mia generazione è decerebrata.
Whoa, la mia generazione merita la distruzione.
La mia generazione ha perso… tutto al videopoker.

Voi figli delle stelle, noi figli dell’oroscopo.
E ti direi che t’amo ma c’ho Saturno contro.
E anche se ho il conto in rosso devo ancora pagare
le ultime rate del nostro amore disfunzionale.
Chissà se è la tivù che ha ucciso i cantautori
oppure son finiti anche i sogni migliori.
E non ci sono manuali contro le frustrazioni.
Qui cadono i governi ma noi restiamo in piedi.

La musica leggera ormai è così pesante.
Mi sento un pezzo di cristallo e il mondo è un elefante.

Whoa, la mia generazione è degenerata.
Whoa, la mia generazione è decerebrata.
Whoa, la mia generazione merita la distruzione.
La mia generazione ha perso… tutto al videopoker.

E ho conosciuto Bianca, è un angelo senza le ali
si fa di cocaina nei cessi dei locali.
Aspira Lucky Strike, lei bambola sfregiata
mi ha ucciso come un insetto e poi m’ha confessato:
«Abbiamo tutti torto, abbiamo tutti torto.
Se chi è felice ha ragione, abbiamo tutti torto.»

UN POST (SEMI)SERIO

E’venerdì, c’è un sole che illude di essere già a primavera inoltrata, ti fa venire voglia di buttare tutti i vestiti nero-grigio-sfumature varie ed eventuali per vestirti solo color salmone, cielo, prato e così via.

Di venerdì sono più felice: venerdì è il giorno che mi salva, che chiude la mia settimana ‘lavorativa’ (almeno per quanto riguarda il telemarketing), venerdì è il giorno in cui inizia una parentesi di riposo, film, shopping (a budget limitatissimo, s’intende),spritz, film, sonno, in cui posso dimenticare fino al lunedì mattina il ritornello prontobuongiornograziearrivederci.

Di venerdì sono anche un pò più triste, e ironizzare mi è un pò più difficile: perché nel 90% dei casi la settimana è stata estenuante, ti ha tolto un altro pò di energie, ti ha ‘arresa’ ancora un pò… e perché di venerdì si sa già che il week end è troppo breve.

Oggi riflettevo su quanto io non abbia mai condiviso l’atteggiamento, molto comune a dire il vero, di alcune mie ‘colleghe’, ragazze nella fascia dai venti ai trenta (per non parlare delle più agées, le ‘signore’ di 40 e 50 anni) che si trovano a fare le operatrici telefoniche per svariati motivi.

Il primo è la crisi, ovviamente: continuo a sostenere la teoria che, se solo avessimo una minima scelta, i call center si svuoterebbero di colpo.

Il secondo può essere uno qualsiasi a scelta tra: non hanno proseguito gli studi, non si sono specializzate, arrotondano un primo part-time, fanno di necessità virtù e via discorrendo.

L’atteggiamento di cui parlo è quello che definirei ACCANIMENTO. Sedersi alla postazione per sgolarsi, sfiatarsi, consumarsi la voce e la mente in una specie di ‘gara’ a chi prende più appuntamenti, vincere la vicina o quella bravissima che ne fa millemila senza sforzarsi, mettersi in competizione con chiunque, impazzire se non si raggiunge il numero richiesto.

Scusate eh… ma io le guardo e penso: CHE AVETE PASSATO NELLA VITA?! Sarà un mio limite mentale… ma in questo lavoro io non ci vedo NIENTE che possa stimolarmi. La competizione, quando c’è (spesso e volentieri, cioè) è malsana e innaturale, e il mio obiettivo quando mi siedo su quella sedia è fare il MINIMO INDISPENSABILE per salvarmi la pelle, aka tenermi il posto e l’esiguo ‘stipendio’ che mi ‘assicura’ (tuoni, fulmini e lampi: ho parlato troppo o troppo presto? Lo scoprirete nelle prossime puntate!!). Senza accanirmi, senza esasperarmi, senza perdere due chili per lo sforzo: perché trovo che questo lavoro sia già di gran lunga esasperante e ‘sfinente’ (nuovo dizionario della lingua italiana, trovate il termine alla voce ‘neologismi assolutamente necessari’) senza metterci il carico da dieci.

Mi risulta davvero strano e difficile capire come si possa vivere per ottenere un risultato giornaliero, che non è altro che un numero in rosso sulla lavagna, che comunque non apporta arricchimento, gratificazione né crescita professionale. Mi risulta stranissimo che la massima aspirazione di una ragazza di venticinque anni, sveglia e capace nella media, sia scrivere 4 anziché 2, lottare per questo genere di mestiere. Mi risulta strano, forse, per il modo in cui la vedo io: devo sopravvivere, vado e faccio quello che RIESCO, senza scompormi più di tanto.

Ne va della mia salute mentale, della mia serenità e della mia intelligenza; non mi suicido certo se scrivo 1 invece di 5, se so che quell’1 è sufficiente a tenermi il posto in attesa di trovare di meglio. Perché cerco e cercherò sempre ‘di meglio’.

Poi, però… poi sento storie come quelle del caso Almaviva Contact, vedo gente che scende in piazza a Palermo, Roma, Napoli e Catania, oltre 600 persone a manifestare contro la delocalizzazione del loro posto di lavoro, quel posto di lavoro che gli dà di che vivere, mangiare, pagare le bollette, provvedere ai figli, oppure, magari e perché no, concedersi un regalo ogni tanto.

Penso a tutte le volte che anch’io mi sono ripetuta ‘è pur sempre un lavoro’, è meglio di niente, è meglio del niente di svegliarsi la mattina e non avere nulla da fare, è meglio del niente che si guadagna se non si fa niente.

E’un mondo brutto quello che ci costringe a scegliere tra niente e meglio di niente, lo so. E’un mondo crudele e privo di meritocrazia, un mondo che ha perso i sogni e pure 3/4 di speranza. Ma nella cruda realtà, è questa la realtà: sono io che mi faccio forza con questi pensieri, sono quelle persone che rischiano la cassa integrazione e scendono in piazza a urlare, fare i flashmob e difendere quel poco che hanno, anche se, sono sicura, a cuore in mano forse quasi tutti loro confesserebbero che questo non è il lavoro che avrebbero scelto, se avessimo scelta.

Ma è un lavoro. E il lavoro è vita, senso, dignità, indipendenza, è vero, terribilmente vero.

E da questo punto di vista, io capisco anche le mie giovani colleghe che a denti stretti s’infilano la cuffia come fosse un’arma: dove non esiste gratificazione, crearsela non è un crimine.